Per comprendere meglio questo secondo lavoro di Antonio Pascuzzo abbiamo pensato bene di intervistarlo.
Come possiamo definire PASCOUCHE?
Pascouche è un po’ un genere a se stante. Assolutamente per caso ho scoperto che, così scritto, potrebbe assumere il significato “uno che non dorme”! (da n’est pas couché).
Potrei dirti che non è un disco monotematico ma non è nenache un disco manouche. Si caratterizza per i suoi suoni live che assumono la forma del concerto forte delle sue sonorità che mi hanno permesso di non rinunciare ad armonia, melodia e ritmica. Dal vivo poi ha il pregio di non relegare i testi ad un ruolo marginale da dover intuire con difficoltà.
Questo sound, con questa formazione, mi permette di esprimermi al meglio e di mantenere intatta l’intenzione.
Visti i tanti temi affrontati , giocando con le parole, possiamo dire che Pascouche è il vero filo conduttore di questo disco che unisce punti di visione differenti?
In questa disco ci sono due aspetti: uno musicale ed un altro legato al viaggio. Aspetti ambedue interconnessi nel modo atteso.
Pascouche è come un interrail di buon viaggio che mi ha portato a spostarmi fino in Francia per Rivoluzione e poi in Portogallo in alcune taverne dove si faceva il fado . Il disco mi ha permesso di avvicinare musiche il cui utilizzo è stato strumentale rispetto al viaggio stesso.
Un esempio per tutti, visto come stiamo trattando la nostra carta costituzionale, nel brano “il fado del partigiano”, il fado stesso è una scelta di lettura e ambientazione del tema in cui il ritmo incalzante con le sue immagini struggenti porta in evidenza le mille offese ad una “Carta fatta a brandelli”. Perché il Fado? E’ una musica che parla di nostalgia, di tristezza ed esso stesso diventa un viaggio nel viaggio che dona alle storie una chiave di lettura in più rispetto alla musica scelta.
E’ un disco che ha soddisfatto le attese?
Era più o meno come lo sognavo anche se con Angelo Debarre è andata anche meglio di come avessi previsto. Con lui è stata buona la prima. Una prima nella quale si è lasciato andare così tanto fino al punto di modificare in maniera viva e apprezzata la melodia del brano. Dunque potrei aggiungere che il risultato che ho ottenuto è stato molto più bello e gratificante di quanto sperato.Non pensavo che tutti gli ingredienti di Pascouche potessero conciliarsi così bene. E in tal senso il plauso che mi riconosco è merito dell’armonia che si è creata con Francesco Forni con il quale ci siamo motivati a vicenda a monte della realizzazione di questo nuovo progetto.
Dall’esperienza di Rossoantico e dall’aver gestito un luogo di musica attento alla musica quali collaborazioni le hanno dato maggiore soddisfazione e quali sogna come musicista?
Per come intendo la vita io, le collaborazioni non sono un obiettivo da raggiungere quanto una condizione per me naturale e quando sto insieme ai musicisti che via via incontro mi piace vivere il momento in piena armonia senza aspettative. Del resto non è un segreto che mi piaccia vivere contesti assai conviviali ..il locale (the place), il coro dei minatori, Rossoantico sono esempi eclatanti e questa mia visione mi ha permesso di suonare con tanti musicisti. Se dovessi ascoltare il mio ego potrei dirti che, nella vita ho avuto la possibilità di conoscere Pino Daniele e devo dire che mi sarebbe piaciuto suonare con lui. Stavo registrando a Napoli quando è venuto a mancare. Lui, musicalmente, è stata una presenza sempre viva e ho vissuto come un privilegio l’essergli stato amico. E la copertina del disco è un omaggio alla sua amicizia.
A fronte di una ricerca personale portata avanti da lungo tempo qual è il bilancio?
Diciamo che, con Pascouche ho raggiunto una nuova ed importante esperienza cantautoriale che oggi mi porta a stupirmi ogni volta che sento qualcuno suonare uno strumento in un modo nuovo e soprendente.
Cos’è che la distrae da tutto il resto quando sente suonare gli altri?
In realtà l’approccio per me è differente. La musica mi distrae da ogni altra cosa. Dice una canzone “la musica è di sottofondo e di solito tendo a distrarmi dal resto”. L’ensemble di musica e parole in armonia mi aiuta a pensare anche quando faccio la doccia.
Come ha deciso di raccontare questo suo disco che non possiamo non definire corale?
In tutte le sue declinazioni secondo un principio di necessità. In due, in tre, anche in funzione delle possibilità economiche di chi ci ospita. Prima di tutto lo suono per me e se, oggi, canto le canzoni del mio primo disco in modo più sicuro rispetto alle canzoni di questo album sono certo che accadrà la stessa cosa per le canzoni di Pascouche: una volta vissute meglio e respirate come dovuto mi capiterà di raccontarle ancora meglio di come sto facendo ora.
Il pubblico influisce, interagisce?
Premesso che la formazione influisce sulle esecuzioni dei brani posso dire che anche il pubblico, durante i concerti, fa la sua parte. Il pubblico è un po’ come il doping per l’atleta. Ti genera quelle tensioni che ti permettono di librarti in uno stato di grazia e quando questo non avviene inutile dire che è deprimente.
Parlando della genesi di questo album c’era già qualcosa di scritto quando è iniziato il viaggio?
Il progetto nato dal viaggio , durante la lavorazione, si è rivelato una evoluzione naturale dell’idea nata con i Rossoantico per via dell’approccio avuto nei riguardi degli arrangiamenti. Risentivano delle influenze della musica balcanica. Influenze che sono state poi arricchite dalle collaborazioni avute e mi hanno permesso di andare oltre e di comprendere molte più cose di quelle immaginate. Il primo approccio con la musica zingara da cui è nato il movimento balcanico mi ha concesso di capire, poi, un nuovo modo di contare il tempo, di suonare , di cantare… di vivere l’approccio allo strumento delle mie mani in modo nuovo, impensato. Tutto ciò è stata, per me, una emozione grandissima che mi ha dato la possibilità di scandagliare i legami che esistono tra le varie culture, tra le persone e i popoli, tra le etnie e le loro musiche per meglio comprendere come la musica si leghi antropoligicamente a quelle persone. Ovviamente la mia ricerca non è stata fatta su basi scientifiche ma è stata, comunque, in grado di condizionare la scrittura dei bani che, strada facendo, mi sono ritrovato ad incidere.
Tanti incontri in questo disco. Crede al caso?
No.. Diciamo che la riuscita di ogni incontro è legata, sì al caso ma anche alle energie profuse. Per quanto riguarda Pascouche e il legame che si è creato tra l’incontro e la musica nulla è stato casuale. Non ho girato l’Europa con uno zainetto sulle spalle perché le persone con le quali ho suonato le avevo già incontrate prima e al momento giusto le ho cercate volutamente in funzione della produzione di questo mio nuovo disco.
C’è un tema al quale è legato più di altri?
Uno è certamente legato al mondo dei migranti. Io, personalmente provo un senso di vergogna enorme della quale non mi riesco a liberare. Pensare che, in questa nostra epoca, purtroppo tutta fashion e plastica, nonostante le nostre conoscenze sui lager nazisti siano ancora possibili vergogne come i centri di accoglienza di Lampedusa. Isola nella quale sono stato recentemente e dove è evidente l’esistenza di quell’abisso che separa l’uomo dalla propria dignità. L’altro tema a me caro è la vicenda di Stefano Cucchi, già trattata nel primo album (nel brano zitto zitto). La presenza di Stefano è per me un fatto reale. Stefano continua a combattere contro il muro di gomma che continua a far calare il silenzio su indagini in cui le forze dell’ordine non possono non avere proprie responsabilità.
E’ un album capace di generare nuove risposte e, quindi, nuova voglia di scrivere?
Pascouche continua ancora oggi a suggerirmi la scrittura di nuovi testi e credo già di poter riempire un altro album.
E…
In Pascouche ci sono così tante canzoni e, quindi, così tanti aneddoti che potrei parlare di questo album per almeno 20 ore e dirti, quindi, di come ogni virgola e ogni nota abbiano portato ad una scelta ben precisa. Spero a questo punto che il disco non risulti pesante. Anche perché è un album che, volutamente, ha delle dinamiche fruibili e “leggere” in cui si affrontano i temi tipici dei cantautori. Io preferisco continuare a cantare di quello che mi succede intorno piuttosto che fare cosa diverse. Per me la canzone è quella.
di Giovanni Pirri
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ALCUNE NOTE
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