Questa considerazione nasce spontanea e, ovviamente, da una esigenza che si mostra, qui, bianco su nero, come impellente ma, in verità, stava maturando dentro di me da tanto, troppo tempo.
Scrivendo di Festival, arte e cultura, non posso fare a meno di pensare fondamentale l’idea di trasformare i luoghi d’arte in spazio di gioco per la cultura musicale e non. E’ l’unico modo , a mio avviso, sensato per dare vita ad una commistione dei linguaggi che non può che fare del bene ai siti archeologici che, ogni estate, si trasformano in veri e propri siti dispensatori di mestieri …all’insenga dell’arte.
Arti & mestieri che aprono alla conoscenza le menti che la pensano diversamente da quelle amministrazioni che si ritrovano a gestire “conoscenza” scambiandola per ruderi che tanto vale la pena seppellire.
Se ripenso al modo in cui ho conosciuto l’anfiteatro di Pompei, gli scavi archeologici di Paestum, i templi di Agrigento, il Teatro Greco di Taormina e tanti altri siti storici, gate naturali tra il passato ed il presente, vedo la fusione dei linguaggi come elemento necessario e indispensabile che ciascun luogo d’arte significativo (e non) dovrebbe permettersi, al di là dei problemi di budget e dei buchi di bilancio per traghettare conoscenza, rispetto, creatività attraverso il tempo.
I borghi che da sempre permettono agli artisti di strada di esibirsi sono la dimostrazione tangibile che si può fare arte con pochi soldi regalando tanto ai luoghi che li ospitano. Arte a Km Zero che genera quel bene che ogni cittadino d’Italia dovrebbe esercitare nei confronti del proprio luogo di residenza o di nascita.
Eppure si continuano a chiudere festival per mancanza di fondi. Si dice spesso che d’arte non si campa e forse è vero ma è anche vero che l’arte che s’affama dà maggiore profitto a chi poi sa come sfruttarla. Ecco bisognerebbe pensare a sfruttarla di meno e, di contro, a farla esibire di più.
Se si possono trovare i soldi per pagare gli stipendi ai consiglieri e ai sindaci si possono trovare anche le fonti necessarie per pagare la SIAE e quei costi che il volontariato sa bene come abbattere: senza stare a domandarsi troppo il perchè.
Io, sempre più convinto che il senso delle cose sia figlio della necessità del fare per uscire dalle condizioni di stallo e non del bisogno di mangiare a tutti i costi …tanto son finanziamenti pubblici quelli che pagano i conti. Che poi, ogni anno, tornano indietro fior di milioni provenienti dagli stanziamenti europei a sostegno della valorizzazione della Cultura… segno tangibile del fatto che chi s’approfitta dell’arte nemmeno è in grado d’approfittarsene troppo. Ciarltroneria o Carloneria? Io la chiamerei piuttosto “ITALIANERIA” e l’unica speranza che scorgo all’orizzonte è che si torni a sperimentare, a suonare come si dovrebbe dando spazio ai giovani e alla loro creatività. Ben consapevoli che ogni manifestazione di piazza e non dovrebbe essere prima di tutto creatrice di cultura. Non solo, dunque, dispensatrice.
di Giovanni Pirri


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